Una sigaretta su una Ferrari Portofino

Quando la morte, il limite, tocca le persone “di mondo”, di quel mondo in cui sembra che il potere non lasci alcuno spazio al mistero, c’è come un contraccolpo che fa fermare tutti un attimo a guardare.

Il giorno in cui è morto d’improvviso il mio capo, tre ore dopo un’ultima riunione insieme, tre ore dopo avermi messo in mano 300 euro di quelli che il cliente aveva lasciato in una busta, continuavo a pensare ai gemelli sul suo polsino. Che ne sarà di quei gemelli, di cui era tanto appassionato?

Vanità di vanità, scriveva in un bell’articolo su Marchionne Antonio Socci citando il Qoelet. Eppure in questa vanità passa la nostra salvezza, il nostro desiderio di felicità e di eternità.

Come le mani della mamma che per prime ci accolgono al mondo, che sono tutto e che allo stesso tempo sono così fragili e passeggere, destinate ad invecchiare e a riempirsi di rughe, e infine a restare immobili.

Come i dettagli casuali e cari che intessono la nostra esistenza quotidiana.

Eterno e temporale, mistero e segno: siamo un tutt’uno e certe notizie non fanno che ricordarcelo.

Così me lo immagino, mentre guido la mia amata Jeep, il grande AD di FCA davanti a San Pietro: che faccia! e quante risposte! Perché non riesco a non credere che nel piacere di una sigaretta o nello splendore del rosso Ferrari ciascuno gridi il suo desiderio di Paradiso.

Sirenetta