Vietiamo la soia in Amazzonia, difendiamo i cattolici in africa

Nei rari momenti di spossatezza ho scoperto che la rivista “Nature” ha su di me un effetto “polase”, dal 1869 è ricca di anticipazioni di grandi scoperte, dai raggi X alla doppia elica del DNA, quando la leggo mi sento un avanguardista. Apprezzo il modo con cui, con eleganza e rigore, solleva problemi ove il confine fra scienza e banalità è impercettibile, inoltre non è mai prescrittiva, permette anche a individui grezzi in termini scientifici come me “a second chance for the planet”. Nell’ultimo numero mi ha attirato (alto marketing culturale) una frase: “una tazzina di caffè aumenta il rischio di estinzione di animali rari”. Sostengono che il 30% delle minacce alla biodiversità derivano dal commercio mondiale, specie del caffè (?). Su questa curiosità “Nature” ha costruito un confuso (per me) ragionamento sulla globalizzazione, i soliti colpevoli (Stati Uniti-Giappone-Europa), la vecchia stigmatizzazione sull’avorio sottratto agli elefanti (anni ’70), dimenticando che sugli stessi territori, ora (2012), cacciatori di uomini uccidono bianchi-neri senz’altra colpa di essere cristiani anziché musulmani, nel silenzio di tutti. Poi Nature cambia ancora obiettivo scagliandosi con violenza contro “salcicce prodotte con carne di suini allevati con soia coltivata su terreni sottratti alla foresta amazzonica”. Essendo uno storico consumatore della salciccia di Bra, fatta con bovini razza fassona, allevati con granoturco cuneese, come previsto dallo Statuto Albertino, trovo difficile immedesimarmi nel problema soia amazzonica-salcicce inglesi (orrende) trattandosi di un banale controllo della foresta e dei porti brasiliani ove la soia viene imbarcata, di competenza solo brasiliana. Vorrei che Nature tornasse la rivista politicamente asettica di un tempo, se vuole farsi paladina delle biodiversità (molto bene!), le difenda però tutte, con lo stesso impegno: caffè-elefanti-soia-salcicce-cattolici.

di Ruggero Ruggeri