Vite e musei

Visita al Whitney Museum. Solo arte contemporanea americana, avanzatissima. In realtà di avanzato c’è ben poco: qualche performance ma non molto alternativa (sembrano piuttosto lezioni di ginnastica); qualche provocazione sessuale ma non proprio inimmaginabile (ci sono dall’antica Grecia, e gira e rigira le abbiamo immaginate tutte); qualche opera di contestazione attraverso oggetti ordinari ma non si sa più bene che cosa si contesta; qualche violenza di troppo ma nulla che vada al di là dei film (e della realtà!) a cui siamo più che abituati. Al cinema danno “Hunger games”, un film che dovrebbe essere per teenagers e ha dentro tali violenza e cinismo che le immagini del Whitney al confronto sembrano fatte per un convento un po’ conservatore.
Perché si avanza poco in tanta arte contemporanea (non tutta; ci sono tante opere meravigliose anche oggi)? Perché si è rotto il filo con il passato, soprattutto con i significati che venivano dal passato. Vale per l’arte contemporanea ciò che vale per tutti noi. Anche per contestare, ci vuole qualcuno o qualcosa da contestare. Senza il passato, la tradizione, ciò che è altro da me, rimane la brevità della mia esperienza personale in cui la ricerca del nuovo e dell’emozione forte fanno da padroni. Ma dovrebbe essere un’escalation all’infinito, e non si può. Oppure occorrerebbe finire in una disperazione totale e la natura umana (per fortuna) lo impedisce quasi sempre. Quindi ci si consola con un buon posto al museo della vita.

Torpedine