VIVIAMO IN UNO STATO DI DIRITTO? / 3

A un mese dall’inizio del confinamento nelle proprie abitazioni, questa domanda dovremmo iniziare a farcela. E io ho un sacco di domande che giro a tutti voi.
Abbiamo parlato di Costituzione, principio di legalità e separazione dei poteri ma alla luce degli eventi dobbiamo chiederci quanto, ancora, questi cardini del nostro ordinamento siano tutelati.
Perché se la critica alle forme adottate dal Governo per agire nell’emergenza ne ha sottolineato alcune derive, quantomeno imprudenti a non voler pensar male, va chiarito che anche negli atti e provvedimenti legittimi può annidarsi l’ingiustizia.
Ieri (notte immagino, perché alle 23 ancora non c’era nulla sul sito della Gazzetta Ufficiale) è stato pubblicato l’ultimo decreto-legge, annunciato lunedì con comunicato stampa.
Innanzitutto, perché continuano ad anticipare i provvedimenti prima di pubblicarli?
Questo non genera una serie di dibattiti e confusioni che non possono trovare riscontro nella lettura del testo?
E ancora, perché queste pubblicazioni quasi allo scoccare della mezzanotte per decreti che entrano in vigore il giorno successivo e, quindi, qualche minuto dopo?
Tra le tante, una domanda brucia più di altre, forse perché sono di parte.
Perché, ancora, viene prorogata la sospensione delle udienze e di tutti i termini processuali fino all’11 maggio? O fino al 3 maggio, o fino al 15 maggio a seconda degli ambiti, così, per creare più confusione.
I Tribunali non sono chiusi come alcuni vanno ripetendo, perché una tale imposizione svelerebbe subito la sua gravità, tuttavia dal 9 marzo non si celebrano più le udienze, salvo per casi urgenti, e i termini processuali non scorrono.
In altre parole, il tempo nelle aule di giustizia italiane è congelato.
La tutela dei diritti assicurata dalla legge è bloccata, per ora fino all’11 maggio, ma di fatto tutto quest’anno giudiziario andrà a rotoli.
E “i casi urgenti” che vengono trattati sono, da una parte, individuati così discrezionalmente a seconda del luogo da non assicurare più un processo egualitario su tutto il territorio nazionale, dall’altra, sono applicati in violazione di una serie di diritti costituzionali, come il diritto di difesa per dirne uno.
Esempio: gli imputati hanno perso il diritto al colloquio riservato con il proprio legale, che non viene certo assicurato da una videochiamata messa a disposizione dalla polizia giudiziaria.
Quindi mi chiedo: che Stato è quello che impedisce l’esercizio di uno dei suoi tre poteri?
Quale tipo di Stato impedisce l’applicazione delle leggi?
E, soprattutto, perché discutiamo da settimane di attività essenziali e non essenziali e i Tribunali, la giustizia concreta che riguarda gli interessi di tutti, sono ritenuti non essenziali?
Davvero non c’è un modo per organizzare gli accessi ai palazzi di giustizia da parte di avvocati e magistrati in modo da non paralizzare l’attività giudiziaria di un’intera nazione?
Davvero sapere di non poter tutelare un proprio diritto per mesi è un problema solo per gli addetti ai lavori?
Queste domande possiamo farcele perché, pare, abbiamo ancora la libertà di manifestazione del pensiero.
Tuttavia, dobbiamo continuare a farcele per non dimenticare la verità, per non assuefarci man mano a questa condizione innaturale in cui stiamo vivendo, per non scordarci nel proseguire dell’emergenza – che certamente non finirà il 13 aprile – chi siamo.
Vale per uno Stato democratico, si spera, come per ognuno di noi.
Facciamo memoria e, anzi, facciamo esperienza di quello che di più autentico abbiamo incontrato affinché non prevalga l’inedia e la morte.
E a pochi giorni dalla Pasqua questo promemoria può solo diventare più forte.

Ostrica