Voucher: ora che cominciano a funzionare c’è chi li vuole abolire

I voucher sono uno strumento molto agile che consente di retribuire tutte quelle prestazioni di carattere occasionale, e di valore limitato, rese da un lavoratore a favore di altre persone o di aziende: un datore di lavoro infatti non può pagare con i voucher più di 2.693 euro lordi (ovvero 2.020 euro netti) ad un singolo lavoratore nell’arco di un anno. Tale valore include i contributi e l’assicurazione Inail del lavoratore. La loro introduzione nel nostro sistema legislativo risale alla Riforma Biagi del 2003, ma di fatto la Riforma del lavoro targata Renzi (D.Lgs 81/2015) ne ha favorito la diffusione, consentendone la possibilità di utilizzo in tutti i settori produttivi: nei primi 9 mesi del 2016 ne sono stati utilizzati 109,5 milioni. Questo dato però non dice granché: poiché i voucher si possono acquistare per un valore minimo di 10,00 o multipli, di fatto i voucher venduti nel 2016 corrispondono a 47.000 lavoratori annui full time retribuiti con questo strumento. Se consideriamo le infinite possibilità di prestazioni retribuibili con questo sistema, credo che sarebbe sano attendersi un ulteriore ampliamento del loro numero per il futuro, piuttosto che essere allarmati dalla loro diffusione. Quante persone conosciamo che utilizzano babysitter, donne delle pulizie, fanno ricorso a lezioni private, solo per fare qualche esempio, senza stipulare un regolare contratto di lavoro? Occorre infatti ricordare che lo scopo fondamentale dei voucher era far emergere tutti quei lavori di piccola entità normalmente retribuiti in nero. Non si capisce perciò la contestazione radicale verso questo strumento mosso da alcuni sindacati (la CGIL ha indetto un referendum che ne contempla addirittura l’abolizione). Se abusi ci sono stati si perseguano i singoli casi, ma non si metta in discussione uno strumento che se fosse reso meno flessibile o eliminato, farebbe tornare nell’ombra tutte quelle prestazioni che oggi sono regolarmente pagate con i voucher.

Rombo