Ascoltando in questi giorni il tam tam mediatico sul tema della violenza contro le donne non ho potuto che interrogarmi su cosa voglia dire amare.
Mi viene in mente una bellissima citazione di un testo teatrale di un poeta lituano, naturalizzato francese, Oscar Milosz, Miguel Maňara, del 1914: Si può benissimo amare, in questo mondo in cui siamo, senza aver subito voglia di uccidere il proprio caro amore, o di imprigionarlo tra i vetri, oppure (come si fa con gli uccelli) in una gabbia in cui l’acqua non ha più sapore d’acqua e i semi d’estate non hanno più sapore di semi.
Queste le bellissime parole di Girolama, la protagonista femminile di quest’opera, che imparai a memoria all’età di quindici anni. Non capivo tutto dell’opera teatrale letta: il protagonista, un libertino sciupafemmine senza scrupoli, arrogante e miscredente, che inaspettatamente si innamora di una fanciulla purissima che gli fa cambiare completamente vita. A quindici anni non capivo molto ma capivo che desideravo essere amata così: in modo totale, assoluto, la prima e l’unica, a maggior ragione da un uomo che lascia tutto ciò che nel mondo appare ricchezza, fama e successo per un amore semplice, quotidiano, reale. Non capivo molto a quindici anni ma capivo che la frase che dice Girolama a Miguel, prima di acconsentire alle nozze (Davanti agli uomini. Davanti a Dio), descriveva l’amore che desideravo da sempre, che ricercavo già da piccola (poveri i miei genitori) in tanti ragazzi della mia età: un amore che ti possiede senza possederti, un amore assoluto ma totalmente libero e puro. Non capivo molto a quindici anni ma questo lo capivo.
Patriarcato? Maschilismo? Non direi. Piuttosto amore che ti fa sentire la preferita e ti lascia libera di essere, cioè di amare fino all’ultima tua fibra sì. E questo per sempre.
La vita non ha deluso la mia attesa. È passata da tanti tornanti e ha preso ancora tante batoste, ma di tutte le esperienze, anche drammatiche e piene di errori, non una è stata falsa. Non una esperienza è stata priva di significato. E piano piano ho ricevuto la grazia di essere amata davvero così, liberamente, totalmente e in modo puro. Come mi disse tanto tempo fa un caro amico: “Tu sarai una donna che ama tutto e tutti e non avrà padroni, se non l’unico Signore”. Eh, sì. Perché per essere amati così e, quindi, per (tentativamente) amare così occorre riconoscere che non sei tu il padrone dell’altro, che c’è un Essere superiore che dà vita e protegge ciò che tu vorresti afferrare bramosa. C’è Dio che fa sì che l’essere di ciascuno abbia un valore eterno.
Oggi in tanti stanno manifestando perché non ci sia più violenza contro le donne.
Ma io vorrei manifestare perché non ci sia più violenza, in particolare, nelle relazioni. Quanta rabbia, quanto risentimento, quanta gelosia e quanta sete di possesso vedo intorno a me, nei ragazzi e negli adulti. E anche in me. Perché il primo dato da riconoscere, rispetto alla violenza e al male, al desiderio di possedere l’altro secondo i propri capricci e secondo le proprie idee, è che questo germe di male è dentro tutti noi. Solo così possiamo iniziare a combatterlo. Il male si combatte innanzitutto riconoscendolo e chiamandolo per nome. Video meliora proboque, deteriora sequor (Vedo ciò che è bene e l’approvo, ma seguo le cose peggiori) diceva il poeta latino Ovidio.
La seconda grande questione è: quando il male che mi nasce nell’animo viene vinto nell’esperienza? È vinto da un bene più grande. Dal perdono verso il proprio male, dallo sguardo che accoglie nonostante i propri limiti, dall’accorgersi che non siamo solo il male compiuto. Certo per rendermi conto di questo occorre l’attenzione, anche celata ma presente, a ciò che mi circonda e il desiderio, anche piccolissimo e quasi negato a me stesso, di bene. Ecco perché le droghe nei rapporti alterano tutto, perché non fanno più essere vigili e attenti a ciò che ho realmente davanti ed ecco perché la percezione di un disagio esistenziale e di una insoddisfazione umana sono dati da non censurare, ma strade da percorrere con sincerità. Ed ecco anche perché il sesso fine a se stesso o al piacere che produce non aiuta a mantenere la percezione sana dell’alterità dell’altro: imposta la relazione sulla sottomissione e sulla dipendenza fisica, a seconda delle voglie o della forza o fragilità psicologia dell’uno o dell’altro.
Infine, l’ultimo fattore. Perché il bene intravisto nel modo di trattare sé e gli altri (donna, uomo che sia, animale, mondo) persista, occorre non essere da soli. Occorre essere in un contesto umano e amicale che continuamente sostenga concretamente, nelle inevitabili mille cadute, ricordi cosa è il bene per cui siamo fatti, quando ci facciamo prendere dall’istinto o dall’ira, riaccenda la speranza quando ci sembra tutto nero.
Ecco perché non mi trovano d’accordo le manifestazioni di questi giorni: il potere, di cui tutti siamo succubi e che fomenta queste visioni distorte della realtà, vuole persone sole, piene di rabbia e rancore, inconsapevoli del proprio male e, quindi, sempre arrabbiate con gli altri. Vuole persone che cerchino nell’altro solo il piacere per se stessi; quindi, che cerchino nell’altro solo la propria misera soddisfazione. Invece amare è fatto innanzitutto del dono di sé.
Andando avanti in questo modo, proponendo corsi di educazione sessuale o dibattiti sulla violenza contro le donne non si arriverà da nessuna parte, se non al risultato di affermare grandi slogan per qualche settimana.
Ma capire che cos’è l’amore? E come posso essere amata davvero? E come posso amare senza distruggere? Queste grandi domande, se non verranno messe a tema, rimarranno giovanili illusioni. In questo modo ci perdiamo il meglio. Perché amare così, ed essere amati così, in modo vero e grande, senza violenza e sottomissione è possibile!
Stella Marina