IL GRANDE AMORE

Sto leggendo di Marina e Matteo, lei single, lui sposato e padre di famiglia, innamorati e amanti.

Niente di superficiale o da commedia italiana. Lei scrive: “Il grande amore, quello per il quale si scrivono i poemi, esiste e, se pure si ha la fortuna di incontrarlo, non sempre è detto che si abbia la possibilità di «viverlo». Perché il grande amore non vince su tutto. Non vince sul dovere che l’amore di un padre per i suoi due figli gli impone.”

Ma è un’altezza che non si regge, perché quel “non viverlo” è intollerabile e allora piuttosto lo si vive “un po’ meno”: tradimenti, sotterfugi, telefonate, incontri clandestini.

Ci vorrebbe qualcuno che dice che, invece, si può “viverlo” tenendo insieme tutto, che può avere significato e costruzione, che è vero e che quel che c’è di vero è degno di essere vissuto.

Sul treno accanto a me c’è un bimbo di circa 10 mesi, con gli occhi vispi e le guance paffute. “Se vedi un bambino, sei tutta animata, non perché è tuo, ma perché c’è”, dice Luigi Giussani commentando un verso di Ada Negri (“Ad ogni fiore che sboccia o frutto che rosseggia o pargolo che nasce, al Dio dei campi e delle stirpi rendi grazie in cuore»). Con i bambini è più facile, per la loro purità assoluta che rallegra il cuore di una bellezza gratuita.

Serve forse la semplicità di Bartolo – nel film “Il viaggio della sposa” – per non piegare il vero ad un “capriccio”.

Sirenetta