“La Confraternita dell’uva” di John Fante

Un bel romanzo dello scrittore italo-americano che, a vent’anni dalla morte, dopo una sofferta elaborazione del rapporto, “investe le immagini narrative” sul padre: Nicola Fante, originario di Torricella Peligna.

Una magnifica faccia abruzzese scavata nella roccia, lineamenti di sofferenza e di fatica e rughe di trionfo e di sconfitta. “Qualcosa di più di un capofamiglia. Era giudice, giuria e carnefice, Geova in persona.” Capomastro edile, il suo amore per il lavoro e per la pietra rappresentava un piacere ancora più pregnante della sua passione per il gioco, per il vino e per le donne.

L’autore nella narrazione ci presenta una specie di religione: la Confraternita del Cafè Roma. Nick Molise e i suoi amici sono consacrati al vino. Il tempio di questa laica compagnia è la fattoria di Angelo Musso, costruita da Nick, dove, su un suolo sacro per i vitigni di Chianti e Chiaretto, si celebra la liturgia del grappolo d’uva che unisce come fratelli anche nella morte.

E’ un libro che parla della famiglia, del burrascoso rapporto tra i genitori. Della fede profonda della madre, che al funerale confida ai figli: “Mi ha sempre dato un sacco di preoccupazioni  dal giorno in cui ci siamo sposati. E ora è finita. Non mi devo più preoccupare. So Dov’è. E che tutto è a posto.”  E poi invita tutti a casa sua per un ritrovo che è una celebrazione: “Ho comprato una  coscia di agnello. Faremo una bella cenetta. Tutta la famiglia. Tengo pure le patatine novelle.”

Pesce Palla