E I FRANCESI CHE SI INCAZZANO E I GIORNALI CHE SVOLAZZANO E I FRANCESI CI RISPETTANO, CHE LE BALLE ANCORA GLI GIRANO

Non conosco tutte le correnti in cui si divide il variegato mondo dei gilet gialli in Francia. Chalencon, Drouet, Nicolle, Mourand, Levavasseur per me sono solo dei nomi. Non so con chi si schierano, se con la destra, la sinistra, il centro; non so quale sia la differenza tra l’ala movimentista, l’ala dura e le altre componenti, quella dei pomodori, quella dei petardi, quella degli spray, quella dei cassonetti e quella famigerata delle molotov (mi dicono una minoranza).

Il fatto è che il capo del M5S italiano Luigi Di Maio ha incontrato in Francia alcuni responsabili dei gilet gialli (dell’ala più dura, pare) e la diplomazia francese ha bollato tale incontro come «una nuova provocazione inaccettabile fra Paesi vicini e partner all’interno dell’Unione europea». Il portavoce del ministero degli Esteri francese ha avuto il coraggio di affermare: «Di Maio, che ha responsabilità di governo, dovrebbe garantire di non compromettere le nostre relazioni bilaterali con le sue ripetute interferenze».

Ma di quale interferenze parliamo? Come si fa a pretendere che il leader di un movimento politico non incontri dei soggetti che stanno portando avanti una battaglia legittima? Si può essere in disaccordo con la lotta dei gilet gialli (e io non sono d’accordo, modalità e nei contenuti), ma non si può dire che non è legittima quella battaglia, altrimenti non è più legittimo manifestare!

Non può un Paese che si dichiara amico richiamare, anche solo temporaneamente, in patria l’ambasciatore per consultazioni perché «Le ultime ingerenze sono una provocazione ulteriore e inaccettabile, violano il rispetto dovuto all’elezione democratica fatta da un popolo amichevole e alleato e il rispetto che i governi democratici e liberamente eletti si devono reciprocamente».

Certo i grillini nell’ultimo periodo non sono stati certamente teneri con i cugini francesi (qualcuno direbbe “non abbiamo cugini”) sulla questione dei migranti, arrivando a denunciare alcune storture (tutte da verificare, in realtà) del sistema dei rapporti tra Francia ed alcuni Paesi africani, definendolo semi-colonialistico. Ecco, io, magari, avrei ritirato l’ambasciatore in questa circostanza.

Le polemiche ci possono e ci devono essere, non si può essere d’accordo su tutto ed è giusto che se si ha un’idea diversa su una questione la si deve difendere, salvo la sua manifesta arbitrarietà e pretestuosità.

L’atteggiamento francese, però, in questa occasione, ha superato ogni limite consentito. Viene richiamato l’ambasciatore perché Di Maio non avrebbe dovuto incontrare Christophe Chalencon, Ma siamo impazziti? Ma che Chalencon è un delinquente? È un terrorista? È un criminale? È un assassino? È un ladro? Se fosse una di queste cose dovrebbe stare in galera; se è libero vuol dire che non ha commesso reati né li ha istigati.

Si badi bene, io personalmente non condivido nulla né dei gilet gialli, né del M5S, ma non posso accettare che un cittadino europeo libero non possa incontrare un altro libero cittadino europeo per discutere di politica, di elezioni, di problemi comuni e considero, quindi, il ritiro dell’ambasciatore un’offesa al nostro popolo.

E allora dedichiamo ai francesi questa bellissima canzone di Paolo Conte, resa famosa da Enzo Jannacci :

… Oh, quanta strada nei miei sandali, quanta ne avrà fatta Bartali. Quel naso triste come una salita, quegli occhi allegri da italiano in gita. E i francesi ci rispettano, che le balle ancora gli girano, … e i francesi che si incazzano e i giornali che svolazzano… e tu mi fai «dobbiamo andare al cine», «vai al cine, vacci tu».

Pesce (ner)Azzurro