La vera tempesta

Cari amici,
anch’io piango per il nostro popolo felice e benedetto da Dio. Anch’io vedo le minacciose maree della storia tornare con onde impari a sconvolgere il nostro mondo. E ricordo capitani coraggiosi scheletriti nel fango delle lagune inseguendo tesori e illusioni di molto valore; ricordo io stesso stragi di gloriose flotte esploratrici su scogliere invisibili e a milioni i marinai sacrificati ai sogni mostruosi di un paradiso vicino e possibile.
Ma lacrime e ricordi sono passioni da vecchi. Come pure i buoni consigli, che in gioventù, e non senza fortuna, ci siamo lasciati alle spalle. Voglio qualcosa oltre gli slogan onnipresenti e contrapposti dei quattro potentuncoli che la sanno lunga sulla nostra vita, oltre le frasi e le opinioni elitarie che ogni tanto ci scopriamo a vomitare anche tra noi qui, nelle profondità, ridotti a desideratori professionisti dall’unisono sbavare per dosi sempre maggiori del solito plancton comune, noi che pure siamo abissi invocanti l’abisso. Voglio fermarmi per un attimo sulla nostra vita, proprio lei, la sconosciuta e sommersa. Da loro e da noi.
Il pesce Giacomino si domandava, secoli or sono, “a quale suo dolce amore rida la primavera”. Io oggi viaggio sott’acqua con una domanda altrettanto dolorosa premuta sul cuore: a quale amore ride la rivoluzione italiana? Cosa cercano, che anch’io non cerchi, le folle di piazza San Giovanni, e dentro le folle, gli uomini e le donne che fanno eco alla barbarie con il loro personale, quasi disumano grido? Di cosa è grido il loro comune frastuono? Di cosa, di quale cambiamento, di quale bene che non vibri, magari altrettanto impazzito, anche nel mio desiderio?
Con questa domanda sincera, visto che non ho altro, sono venuto oggi a intorbidare la vostra acqua. Vi chiedo perdono. Poche bollicine in superficie nel gigantesco silenzio dell’azzurra distesa, ma questa è la mia vera tempesta. E sale su su, fino al Dio-faccia-di-pesce, Signore di tutti i mari e di tutte le tempeste, di tutti i cuori e di ogni branchia che galleggi sotto il cielo. Il resto è soltanto, ancora una volta, politica. E di quella, checché ne pensi qualche misera, rancorosa e recidiva eccezione, non si vive. Neppure quaggiù.


P.S. Ma forse, mentre grido il mio grido, al nostro popolo sono già nati altri santi. E il mio grido e quello delle folle di cui sopra ha già avuto risposta. Qualcuno dice che si tratta soltanto di cercarli davvero. Di ascoltare col cuore nella gazzarra che fa il nostro tempo. Loro, da qui a poco, si faranno di certo trovare.

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