Quando Benedetto XVI si è rivolto per l’ultima volta ai cardinali, usando le parole di Romano Guardini, ha detto: «la Chiesa non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino…, ma una realtà vivente… ». La Chiesa è viva e cammina nel tempo verso il suo Destino ultimo, che è un destino di perfezione e compiutezza e… di unità.
A meno di un mese, con il nuovo papa Francesco salito sul soglio di Pietro, è proprio nel cammino verso l’unità che la Chiesa è stata protagonista di un avvenimento straordinario e “storico” nel senso più vero del termine. Per la prima volta dal Grande Scisma del 1054 (lo scisma con cui la Chiesa Universale si è divisa in Chiesa Cattolica Occidentale e Chiesa Ortodossa Orientale), ha partecipato alla cerimonia di intronazione del successore di Pietro il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli, Bartolomeo I, la figura gerarchicamente più importante – primus inter pares – tra i patriarchi delle Chiese sorelle ortodosse orientali.
Quanti santi, quanti cristiani, quanti uomini di buona volontà da mille anni desideravano questo momento! Noi oggi siamo qui a vederlo, a viverlo!
Francesco e Bartolomeo (due “I” della storia della Chiesa, uno con il nome del più grande santo della cattolicità, l’altro con quello dell’apostolo che Gesù preferì dicendogli: “vedrai cose più grandi di questa!”) si sono fermati insieme in preghiera sulla tomba di Pietro. Francesco lo ha ringraziato commosso chiamandolo: “il mio fratello Andrea”. E lui lo ha invitato a Gerusalemme il prossimo anno per l’anniversario dello storico incontro nella Città santa dei loro predecessori Paolo VI e Atenagora (5 gennaio 1964). Insomma, gesti grandi ed eccezionali.
Cosa significa tutto questo? Come amava ripetere Giovanni Paolo II, la Chiesa Cattolica e la Chiesa Ortodossa sono due polmoni di un unico corpo. Per vivere in pienezza bisogna «tornare a respirare con due polmoni». L’unità nella diversità significa che non ci può essere un «io» pieno senza il «noi», che uno non può essere se stesso se non in comunione con l’altro. Cristo è uno, così come una è la fede in Lui; diversa è la tradizione con cui questa «pietra angolare» si è impattata con la realtà, facendosi cultura, liturgia, teologia. Se da una parte, in Occidente, il cristianesimo ha costruito una civiltà basata sull’indissolubilità di fede e ragione, la via maestra di sant’Agostino san Benedetto e delle cattedrali medievali, dall’altra parte, in Oriente, il cristianesimo ha incarnato la via della bellezza come strada alla Verità. Una Verità non ideologica (cioè: ragionevole, sì; razionalistica, no), che tanto ci serve oggi nella nostra crisi di civiltà dominata dal relativismo. Come per tutta la vita ha insegnato Padre Scalfi – fondatore di Russia Cristiana – dal di dentro della sua sconfinata affezione per la Chiesa ortodossa, conoscere la profondità della teologia orientale significa riscoprire che la verità non è uno schema piatto e rigido, ma è antinomica, apofatica e sobornica. Antinomica, perché abbraccia in se stessa differenze e contraddizioni (è una vita, non una logica deduttiva!); apofatica, ovvero non la si può definire razionalisticamente perché è carica di mistero (“non ci basterà tutta l’eternità per conoscere il Mistero”). Infine è sobornica, cioè ecclesiale, comunionale e non individualistica.
L’unità dunque non è uniformità, ma armonia, come in una famiglia. L’abbraccio di Pietro e Andrea che abbiamo visto è il segno che la grande famiglia della Chiesa Universale oggi ha bisogno e desidera di scoprire e vivere sempre di più questa comunione.
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