Chi decide il valore di una vita?

Ho tempo prima che parta il treno così, visto che il negozio è a pochi metri, decido di fare un salto alla Feltrinelli. Non voglio comprare nulla, quindi il mio giro è più ampio del solito. Al primo piano, mentre osservo le letture destinate all’infanzia, sono attratta da una voce maschile molto calda, bassissima, un padre che parla a suo figlio. La bellezza della voce attira inevitabilmente anche il mio sguardo. E’ un giovane uomo alto con in braccio un bambino dall’apparente età di tre anni. Biondo, bellissimo, down.
Il colpo è immediato: è di questi giorni la notizia che la Danimarca ha dichiarato che eliminerà tale sindrome entro il 2030, distruggendo tutti i feti che – attraverso la diagnosi prenatale – ne saranno individuati affetti. Non commento l’assurdità della notizia, tanto evidentemente riporta alla mente le dichiarazioni dei medici nazisti che prostituirono la loro scienza all’utopia folle di un uomo perfetto. 
Ma questo bambino che ho di fronte e mi guarda mi costringe a pensare a cosa sarebbe il mondo se lui non ci fosse (il mondo vero, cioè il mio e quello della sua famiglia, non quello dei teorici della vita: scienziati, medici, politici di Danimarca e non solo…). Che se i suoi genitori avessero avuto paura di lui, di conoscerlo, di vederlo ogni giorno, di servirlo nei tanti particolari in cui sarà sempre dipendente, se quest’uomo che lo porta in braccio e che con tanta dolcezza lo introduce alla realtà avesse voluto una vita più tranquilla, meno pervasa dal dolore… forse il mondo sarebbe meno bello.
Forse il mondo – quello vero – non avrebbe soltanto un bellissimo bambino in meno. Forse dovrebbe fare a meno anche dell’uomo che è suo padre. Ci sarebbe, certo, almeno lui non mostra anomalie evidenti, ma forse, se non avesse accettato la sfida del Mistero, sarebbe meno uomo. Sarebbe uno come tanti. E non avrebbe attirato il mio sguardo.

Alice