CHI FA LA SPIA…

La Camera dei deputati ha approvato una nuova legge a tutela dei dipendenti pubblici e privati che segnalano reati o irregolarità che avvengono nel proprio luogo di lavoro (meglio noti come “whistleblowers”).

In pratica, si vuole valorizzare – secondo una modalità sempre più diffusa negli ultimi anni anche a livello internazionale (e se ricordo bene le lezioni di storia del liceo, già utilizzata con molto successo in passato!!!) – il controllo trasversale e “dal basso”, tra colleghi, collaboratori, fornitori.

Il fine, l’interesse preminente, è esplicitato chiaramente dalla nuova normativa: l’integrità della Pubblica amministrazione o dell’ente privato in cui si lavora. Dove “integrità” non è appena (o forse non è affatto) riferibile alla esistenza, attività e buon funzionamento dell’ente, ma evoca valutazioni etiche e comportamentali che ognuno dovrebbe avere a cuore per sé e per le persone che ha intorno… Ma facendo la spia?!??

Invece dell’attaccamento e del senso di appartenenza all’ente o all’impresa, fatta di persone, dove quotidianamente si costruisce e da cui si trae il sostentamento, si chiede al lavoratore di rivelare informazioni, anche coperte da segreto d’ufficio, aziendale o professionale (c’è una norma apposta su questo), all’autorità giudiziaria, a quella contabile o alla onnipresente Autorità Nazionale Anticorruzione.

La corruzione è una piaga sociale: ok. Svilisce la concorrenza, impedisce la meritocrazia, crea delle ingiustizie: è vero. Bisogna sradicare alcune situazioni incancrenite soprattutto nella gestione della cosa pubblica: senza dubbio. Ma con quali mezzi? E a che prezzo?

Sotto le bandiere di un’etica e di un’integrità astratte, si nasconde la sfiducia nel singolo e nel suo mettersi insieme ad altri. Si crede nei delatori, invece che negli eroi.

Sirenetta