Come cattedrali in costruzione

Qualche giorno fa ricorreva il compleanno di Alessandro Manzoni e, come normalmente accade, sui social sono fioriti post con frasi e brani delle sue opere. Uno di questi mi ha fatto ritornare in mente un passo dell’Adelchi, una delle due tragedie scritte da Alessandro (III atto, scena II, vv. 91-102).

Adelchi, figlio del re longobardo e cattolico Desiderio, non è d’accordo con le scelte del padre, una su tutte quella di muovere guerra ai Franchi di Carlo Magno alleati col Papa. Combattere contro di loro significa mettersi contro la Chiesa. Ma Adelchi è il figlio del re e non può che obbedire. Per questo vive una lacerazione irrisolvibile (apparentemente), che condivide con l’amico Anfrido. Il dialogo tra i due mi pare un grande esempio di amicizia, un po’ come quella tra Sam e Frodo per intenderci!

Anfrido, dopo aver ascoltato le parole drammatiche di Adelchi, così inizia a rispondergli: “Toglierti la tua splendida cura non poss’io”: io non posso toglierti il tuo splendido (già, ha detto proprio splendido) dramma. Eh, esagerato! Verrebbe da replicare ad Anfrido: “Con quale autorità parli? Come pretendi, davanti ad uno che soffre, di dirgli che il suo dolore è splendido?” Eppure, dopo il fastidio iniziale, verrebbe poi da domandargli: “Mi spieghi allora come è possibile guardare così il mio dolore?”. La posizione di Anfrido è quella del cristiano e della Chiesa, per cui tutto è per il bene, tutto ha un ordine e il tempo dato all’uomo è un tempo misteriosamente utile. Anfrido abbraccia il dramma di Adelchi: non posso sottrarti la tua pena, ma “posso teco sentirla almeno”, e poi lo incoraggia a guardarla: “Al cor d’Adelchi dir che d’omaggi, di potenza, e d’oro sia contento, il poss’io?”: posso forse confortare il tuo cuore dicendoti di essere per lo meno contento del potere e delle ricchezze che hai? Possono queste essere una valida consolazione?

C’è una posizione più nobile infatti. Anfrido ricorda all’amico il senso del suo dolore: la grandezza dell’uomo consiste nell’accettare con fiducia la prova nella certezza di un compimento:

– Soffri e sii grande: il tuo destino è questo,
finor: soffri, ma spera: il tuo gran corso
comincia appena; e chi sa dir, quai tempi,
quali opre il cielo ti prepara? il cielo
che re ti fece, ed un tal cor ti diede.

Il cielo ti ha dato un grande compito (“re ti fece”) e questo compito è solo all’inizio (“il tuo gran corso comincia appena”); il cielo ti ha voluto qui e non da un’altra parte, ti ha voluto in questo frangente della storia; non solo, ti ha anche dato un nobile cuore che sente fortemente l’ingiustizia, che sa riconoscere il bene, che vorrebbe difenderlo e per esso dare la vita, un cuore che soffre per la verità. Dunque questo Cielo “chi sa dir quai tempi, quali opre ti prepara?” Chi sa dire a che cosa ti sta destinando? Non sei che al principio del tuo cammino (“il tuo destino è questo, finor”), non ne conosci che una piccola parte. Ma un disegno c’è. Intanto tu però, accettando la sfida, diventi grande, diventi eroe!

Penso alle cattedrali che gli uomini medievali cominciavano a costruire e di cui non avrebbero visto mai il compimento, perché per costruirle ci si metteva più di cento anni, ma alla fine arrivava il giorno in cui veniva posta anche l’ultima pietra e l’opera si compiva! Così è la vita dell’uomo, in qualunque frangente della storia egli si trovi, con i suoi dolori e le sue gioie. Siamo cattedrali in costruzione: il nostro gran corso comincia appenachi sa dir quali opre il cielo ci prepara?

Pesce volante