È tornato papà!

È tornato papà!
Foto di Elina Fairytale: https://www.pexels.com

Dai lontani anni ‘70-‘80 il papà era sparito; la sua assenza ha imperversato su tanta letteratura sociologica, ma dopo il doloroso periodo della pandemia e del lavoro da remoto obbligatorio per tanti, il padre ha finalmente fatto ritorno a casa, in famiglia, passa del tempo coi figli, lascia loro qualcosa di più e di diverso da un’eredità di soli beni materiali, certamente restituisce la semplice presenza di un padre in una nuova dimensione che ha assunto la casa. Ci suggerisce questa riflessione Claudio Risé, psicoterapeuta e psicoanalista che conosce a fondo il problema avendo già indagato in passato la crisi del ruolo paterno, l’origine e le conseguenze che l’assenza del padre dal nucleo familiare hanno provocato nelle persone e nella società.

Il suo ultimo libro, Il ritorno del padre (Edizioni San Paolo), coglie un cambiamento forse inatteso, e apre uno sguardo rinnovato sui fenomeni in atto. Sta tramontando la cultura degli anni Settanta e Ottanta, i miti di quella stagione, e le leggi che hanno contribuito all’indebolimento della famiglia. Merito di questa uscita dal deserto del “cinquantennio dei comportamenti sfrenati e dell’affettività gelida” sono i Millennials, i nati tra il 1980 e il 1990, i figli di chi è stato studente nel ’68, dunque la generazione che per prima si è trovata a pagare in pieno il prezzo di quella rivoluzione.

Gli anni ‘70 sono caratterizzati dal rifiuto del matrimonio: sposarsi era diventata una prospettiva da evitare, oggi invece, secondo Risé, il giovane maschio è tornato a desiderare un nucleo all’interno del quale scambiare affetti e cure, “e se trova una ragazza che condivida questo sogno è ormai spesso in grado di sposarla”.

Secondo Risé, fu proprio l’uscita di scena del padre una delle cause del crollo dell’autostima nei figli. Il cammino di riavvicinamento del padre alla famiglia era in corso da tempo, sottotraccia, e la pandemia lo ha probabilmente fatto detonare: la costrizione durante i periodi di lockdown prima e la possibilità dello smart working poi, potrebbero aver segnato un punto di non ritorno, grazie all’aumento significativo del tempo che il padre ha incominciato a passare in casa, desideroso di stare di più con i figli e di migliorare la situazione affettiva propria e della prole. 

Anche l’indisposizione ad accettare lavori totalizzanti per Risè può invece esprimere una novità positiva: una richiesta di tempo che prelude alla realizzazione come padri. È il sorgere di un desiderio che può rimettere al centro dell’esistenza gli affetti, la famiglia e la fede. Non si tratta della rinuncia al lavoro, ma di un processo di riconquista di quell’equilibrio familiare precedente alla rivoluzione industriale.

Nel ’900 le imprese-Grandi-madri hanno creato il mito del guadagno e del successo per legare gli esseri umani alla dimensione delle cose materiali, individui gentili, allegri, fintamente buoni, ma fragili, soli, sradicati e incapaci di vedere la ferita, affrontare la perdita, sopportare il sacrificio.

Ma la riscoperta della “famiglia di una volta” dovrebbe saper fare selezione conservando solo le cose buone, oggi si legifera per agevolare il nuovo protagonismo dei padri: la storia procede per cicli, dunque la decadenza non è un destino ineluttabile, matrimonio e natalità possono ancora rifiorire. Per ora c’è che, fosse anche per qualche ora di smart working in più, il padre vuole ritornare. E, come sostiene Risé, “il padre non ritorna mai da solo, ma lo segue anche tutto il mondo familiare”.

Scrive Risé: “Dal punto di vista psicologico il padre porta nella vita umana l’esperienza dinamica del muoversi, dell’andare. Fa dell’esistenza un movimento verso la pienezza con Dio e, allo stesso tempo, dona una liberazione dall’attaccamento, dall’egoistico trattenere e trattenersi, freno di ogni ricerca e divenire”.

Dai, papà, giochiamo!!

Moscardino