Geopolitica e geoteologia: Costantinopoli e Mosca, due imperialismi, una sola logica

Geopolitica e geoteologia: Costantinopoli e Mosca, due imperialismi, una sola logica
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Probabilmente il termine “geoteologia” è un neologismo ‘dal sen fuggito’, quasi in modo improvviso e inaspettato. La cruda attualità di queste settimane ci richiama alla memoria la politica degli imperatori di Costantinopoli tra il V e il VII secolo; imperatori cristiani, sommi pontefici che indicevano Concili Ecumenici per un chiaro interesse geopolitico, cioè per controllare le province periferiche dell’impero, contro probabili defezioni per motivi legati a questioni teologiche (le risoluzioni dogmatiche dei grandi Concili Ecumenici per tanti erano difficili da accettare). 

Era in gioco il mantenimento del potere. Il trono svolgeva un ruolo primaziale nei confronti dell’altare; e i responsabili delle comunità cristiane periferiche ben volentieri accettavano un ruolo di sudditanza se venivano rispettate le loro posizioni teologiche. Il sodalizio era spesso causa di sopraffazione, non raramente violenta, nei confronti di quelle comunità che dal punto di vista geopolitico ormai non davano preoccupazioni all’impero: e così l’occidente vandalizzato, ormai insignificante, marginalizzato, (Roma alla lettera, il vescovo della piccola comunità di Roma torturato, incarcerato, in esilio) subiva le manipolazioni politiche delle verità di fede da parte dell’Impero. 

Uno schema che resse fino a quando non arrivarono dall’Oriente le orde dei Sassanidi prima e degli Arabi dopo, a sconvolgere lo schema della politica teologica dell’Impero; il terzo incomodo (specie la mezza luna) ruppe lo schema, ma ormai le fratture di natura teologica (tra Oriente e Occidente) erano talmente profonde che in seguito fu difficile rimarginare le ferite. Nei secoli successivi il solco fu più profondo; lo schema si ripropose su opposte latitudini geografiche. Ma oggi si ripresenta, (corsi e ricorsi storici?), di nuovo in Oriente. 

In termini contemporanei ricondurremmo il dibattito al confronto Stato-Chiesa, ma dopo due secoli di modernità, dalla quale abbiamo ereditato un rapporto costruito sulla laicità, non sempre sana, ma comunque affermata e accettata dalle due Entità Supreme, facciamo fatica noi europei che, anche a costo di lacrime e sangue, abbiamo imparato la lezione e accettato la sana laicità, a comprendere e applicare quello schema, che aveva le sue ragioni in quei secoli, a quanto stiamo assistendo in queste settimane; il sacro benedicente e giustificante il profano bellicoso, con evidenti intrecci di strumentalizzazioni reciproche e infimi interessi protezionistici. Anacronismi? Velleità antistoriche? Nostalgie del passato? Conservazione di privilegi ormai non più giustificati? Tutto questo e forse di più. 

La lezione da tener presente: quando la politica sposa la teologia e, viceversa, quando la teologia sposa la politica, si mostrano entrambi deboli e perdenti e le conseguenze sono sempre tragiche e scavano solchi profondi che solo uno spazio temporale, e una dura e lunga purificazione, può riempire. 

 

Moscardino