Guerra: quale compito per noi?

Cari lettori vi proponiamo l’articolo dei nostri amici della Scuola di comunità piazzale Brescia.

Guerra: quale compito per noi?
Uomo che riflette from Pixabay

Da ormai un mese il conflitto tra Ucraina e Russia è all’ordine del giorno. Immagini di distruzioni
sempre più devastanti dominano nei telegiornali. Come dice Papa Francesco, “questa guerra
rappresenta una sconfitta per tutti noi […] La guerra non devasta solo il presente, ma anche
l’avvenire di una società.

Ho letto che dall’inizio dell’aggressione all’Ucraina un bambino su due è
stato sfollato dal Paese. Questo vuol dire distruggere il futuro, provocare traumi drammatici nei più
piccoli e innocenti tra di noi. Ecco la bestialità della guerra, atto barbaro e sacrilego!”

Ma cosa possiamo fare noi, o meglio cosa siamo chiamati a fare?

Molti sono i gesti di carità che il popolo italiano ha prontamente messo in atto, intere comunità si
sono prodigate per raccogliere cibo, vestiario e beni di prima necessità da destinare alla popolazione
ucraina in fuga dal loro paese; per non parlare di tutte le persone che hanno deciso di ospitare
gratuitamente (ovvero in totale gratuità) famiglie e ragazzi ucraini.
È un dato evidente a tutti che l’uomo è fatto per il bene e che di fronte all’ingiustizia prova subito a
rispondere, esattamente come sta accadendo con questa guerra.

Ma cos’altro possiamo fare?
Lev Dodin, noto regista teatrale e direttore del Malyj Teatr di San Pietroburgo, in una lettera a Putin,
pubblicata da Libération scrive:
“Cosa ci resta da fare? Pregare, pentirsi, sperare, supplicare, pretendere, protestare, confidare?
Forse, tutto quello che non abbiamo fatto fino ad oggi: amare il prossimo, perdonare il prossimo
come perdoniamo noi stessi, non credere nel male, non confondere il male con il bene”.

“Amare il prossimo”: questa guerra ci fa vedere che le dinamiche dell’odio mondiale non sono poi
così diverse da quelle dei nostri odi quotidiani. Ci chiede di cambiare profondamente, non farlo ci dà
l’impressione di aumentare la sofferenza di chi oggi è colpito dalla guerra. Dio è tutto, ma anche l’io
è, e questo io può opporsi a Dio: questa è la guerra.
Questa guerra ci ha tolto il velo dagli occhi e ci ha lasciato scoperti con le nostre paure ma soprattutto
con le nostre colpe; come diceva spesso don Giussani, un gesto non è vero, se non parte dalla
coscienza del proprio male.

“Non credere nel Male”: i cristiani non pensano che il male e il bene lottino ad armi pari: il male
esiste come negazione del bene, a volte si prende la scena della storia, ma il male è già sconfitto
perché Cristo è risorto da una morte nei più atroci dolori ed è presente. Inoltre, chi ci impedisce di
pensare che nella sofferenza di chi muore, scappa (anche dalla Russia) e perde tutto, non operi la
redenzione di Cristo? Chi soffre partecipa alla sua croce e quella croce ha redento il mondo.

“Non confondere il Male con il Bene”: ci sono evidenze che ogni cuore sincero riconoscere:
aggredire è male, uccidere è male, mentire è male, così come cercare la verità è bene, curare è bene,
amare è bene, sia per i russi, sia per gli ucraini e per tutti. Tutte le considerazioni geopolitiche ed
economiche non possono oscurare queste verità elementari, e se non fanno i conti con esse, si
riducono a inutili e miopi tentativi per aggiustare con le parole qualcosa che ormai si è rotto.
Esercitare la nostra capacità di giudizio senza mentire a noi stessi è un dovere verso il mondo.

Come non confondere il male con il bene ce lo insegna Vasilij Grossman, scrittore russo testimone
dell’assedio di Stalingrado, degli orrori dei campi nazisti e del totalitarismo comunista sovietico:
“[…] oltre al bene grande e minaccioso esiste la bontà di tutti i giorni. La bontà della vecchia che porta un
pezzo di pane a un prigioniero, la bontà del soldato che fa bere dalla sua borraccia un nemico ferito, la bontà
della gioventù che ha pietà della vecchiaia, la bontà del contadino che nasconde un vecchio ebreo nel fienile.
La bontà delle guardie che, a rischio della propria libertà, fanno avere a mogli e madri – non ai loro sodali,
questo no – le lettere dei prigionieri. È la bontà dell’uomo per l’altro uomo, una bontà senza testimoni, piccola,
senza grandi teorie. La bontà illogica, potremmo chiamarla. La bontà degli uomini al di là del bene religioso
e sociale. A ben pensarci, però, ci si accorge che la bontà illogica, fortuita e del singolo uomo, è eterna. Che
si estende a tutto quanto è vivo, a un topo o al ramo che un passante si ferma a sistemare perché possa
attecchire meglio al tronco. «In quest’epoca tremenda, un’epoca di follie commesse nel nome della gloria di
Stati e nazioni o del bene universale, e in cui gli uomini non sembrano più uomini ma fremono come rami
d’albero e sono come la pietra che frana e trascina con sé le altre pietre riempiendo fosse e burroni, in
quest’epoca di terrore e di follia insensata, la bontà spicciola, granello radio- attivo sbriciolato nella vita,
non è scomparsa. […] E questa bontà sciocca è quanto di umano c’è nell’uomo, è ciò che lo contraddistingue,
è l’altezza a cui lo spirito umano si eleva. La vita non è il male, ci dice. È una bontà senza voce, senza senso.
Istintiva, cieca. Nella lotta contro il male non è l’uomo a essere impotente: per quanto poderoso, il male non
può nulla nella sua guerra contro l’uomo. La bontà è debole, fragile: questo è il segreto della sua immortalità.
Essa è invincibile. Più è sciocca, più è illogica e indifesa, tanto più è imponente. Il male non può nulla contro
la bontà! Profeti, apostoli, riformatori, leader, capi delle nazioni nulla possono contro di essa. La bontà,
amore cieco e muto, è il senso dell’uomo [V. Grossman, Vita e destino, Adelphi 2008, 388-89].

Diceva Sant’Agostino: “La vera potenza di Dio consiste non nell’impedire il male, ma nel saper
trarre il bene dal male”.
Preghiamo ed offriamo questo momento in vista della Pasqua affinché i cuori dei potenti riconoscano
e aderiscano al Bene.

Scuola di comunità piazzale Brescia

 

La Spigola