Guerra e criteri

Gli Stati Uniti hanno incominciato ieri a bombardare le forze di Isis, l’auto-proclamato califfato islamico. Non si può esultare per una guerra, ma in questo caso non c’è alternativa alle armi. Isis non è un gruppo terrorista ma uno Stato. Il nome di ‘califfato’ per l’Islam ha un significato preciso: la diretta discendenza dal Califfato alto medievale che conquistò tutto il medio oriente e il nord Africa spingendosi fino alle porte d’Europa.
Che la conquista dell’Occidente e la conversione o uccisione degli infedeli (i non credenti prima di tutto, e poi gli ebrei e i cristiani) sia un fine dichiarato di Isis e di tutte le varie componenti islamiche che dalla Libia alla Nigeria stanno insanguinando il mondo, è una verità che non sfugge a chi conosca l’Islam (si vedano il libro Cento domande sull’Islam di Samir o gli articoli di Quirico su La Stampa).
Isis ha dimostrato i suoi intenti trasformando le proprie conquiste in un genocidio dei cristiani. Sono decine di migliaia i cristiani in fuga senza niente dalle città prese da Isis. Quelli che non fuggono vengono sottoposti al dilemma medievale: o conversione all’Islam o morte. Secondo CNN (non un’emittente cristiana) nell’ultima città conquistata Isis ha decapitato molti che rifiutavano la conversione e ne ha esposto le teste.
Quando non c’è nessuno spazio per parlare e uno ti vuole solo uccidere o il corpo o il cuore, il ricorso alle armi è legittima difesa. È l’ultima cosa che un cristiano vorrebbe, eccetto quella di scomparire. Che ci siano dei cristiani, però, è la possibilità per tutti di un Paese fatto di amore e passione a ogni singolo uomo. Se i cristiani scompaiono, non è solo una perdita di individui – che forse in quest’epoca non sembra più essere importante – ma del bene di tutti.
Anche stavolta l’incerto Obama interviene troppo tardi. Un mese e mezzo fa la situazione era già chiara: se fosse intervenuto, avrebbe salvato decine di migliaia di vite umane. Come sempre, il non avere criteri chiari fa essere incerti e spesso dannosi. Il criterio della libertà della Chiesa, invece, fa vedere in modo realistico la situazione, senza i facili moralismi del potere: era vero nei tanti casi in cui tale criterio richiedeva di non intervenire (2 guerre in Iraq, Libia, Siria, Egitto) quanto ora che deve dolorosamente dire che non c’è altra strada. Così, mentre si domanda e si spera che si perdano poche vite umane anche degli appartenenti a Isis, ancora una volta emerge che la chiarezza del giudizio nasce dall’appartenenza purché l’appartenenza sia a qualcosa di vero e universale.

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