Non potrei più vivere se non lo sentissi più parlare

Non potrei più vivere se non lo sentissi più parlare
Crocifisso from Pixabay

“Quel cadaverino appeso su quella croce mi fa anche un po’ ribrezzo”. Più o meno fu questa una fra le tante uscite di Adel Smith, musulmano di padre italiano e madre egiziana, che della battaglia all’esposizione del crocifisso nei luoghi pubblici (scuole, ospedali, aule giudiziarie, seggi elettorali ecc.) aveva fatto la sua ragione di vita. Per averlo buttato dalla finestra nell’ospedale dove era stata ricoverata sua madre, fu anche condannato per vilipendio alla religione. Lo fece togliere anche dalle scuole dei suoi figli a Ofena, con sentenza del tribunale aquilano nel 2003, seguito dell’eliminazione del presepe e la recita natalizia. Infine fece rimuovere il crocifisso anche dall’ospedale “San Salvatore” in località Coppito a L’Aquila, dove fu ricoverato e morì a soli 54 anni nel 2014.

Che senso ha oggi per me ricordare questo fastidioso polemista che veniva invitato nelle trasmissioni televisive proprio per quella ostinata ricerca della rissa, che finiva spesso anche alle mani? Beh, diverse chiese, fra cui la mia, hanno nella navata centrale un grande crocifisso in legno ancorato con “dure funi” alla volta, con Gesù sopra. Quando lo guardo, io non vedo un morto, un cadavere, ma sento una persona viva, sì morente, che respira a fatica. Mi pare di scorgere la gabbia toracica con il costato ferito che ancora riesce ad alzarsi un pochino, prima dell’asfissia, sento il suo ultimo ansimare, solo un rantolo. Sembra poi che piano giri la testa, sollevandola un po’, e profondo mi guarda. Cosa vorrà dire, cosa vorrà dirmi, sussurrando con un ultimo sforzo poche definitive parole?

“Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno”: si preoccupa di perdonarmi, mi ha misericordiato.

“In verità, ti dico, oggi tu sarai con me in paradiso”: ecco, si ricorderà anche di me se solo glielo chiedo, dimentico di tutto ciò che è passato.

“Donna, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua madre”: mi ha tenuto in buone mani, quelle di una Madre, di tutta la Chiesa.

“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”: certo, esauditi dal Padre Nostro di non abbandonarci nella prova.

“Ho sete”: desidera tutto me, ardentemente.

“Tutto è compiuto”: ora anche io, come tutto il mondo, non manco più di nulla.

“Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”: dovrò ricordarmene nella mia ora, ora, ogni ora.

Infine, in un ultimo impercettibile sussurro, mi sembra di udire, sento, dopo le note 7 parole, un’ottava, come all’inizio quando mi ha preso a sè col battesimo: dolce il mio nome. Come al giovane ricco, a Pietro, Matteo, Zaccheo, la samaritana: seguimi.

“Io penso che non potrei più vivere se non Lo sentissi più parlare”, ci ricordava sempre, ci invitava a ricordare sempre, don Giussani facendo proprie le parole di Mohler su Gesù, il Verbo di Dio, la Parola.

 

Il Pesce fuor d’acqua