29 febbraio 2012 ‐ E’ trascorso ormai un anno da quando in Siria sono iniziate le prime sommosse popolari affinché avvenissero cambiamenti in senso democratico dello Stato. Erano gli inizi della primavera araba, ed emergeva vivo negli uomini un rinnovato desiderio di Libertà. Oggi la rivolta ha assunto i connotati di una vera guerra civile.
Al governo di Basahar al Assad, alla guida di un regime dittatoriale quarantennale, si contrappongono forze armate di opposizione che non hanno ancora trovato una dimensione unitaria. Il conflitto conta decine di morti ogni giorno e sta assumendo anche i tratti di una guerra settaria, o addirittura etnica.
Gran parte del popolo è visto come sostenitore o nemico del regime a seconda che appartenga alla setta “alawita” (minoranza cui appartiene Assad) o alla maggioranza mussulmana sunnita; mentre i cristiani, cui il governo permette la professione religiosa “privata”, sono considerati per questo pro‐Assad nonostante le bombe del regime, chiaramente, non facciano distinzioni.
In questo contesto la comunità internazionale non trova ancora una quadratura definitiva e condivisa: mentre in occidente l’U.E. congela i beni siriani e gli USA e la Francia mandano un ultimatum perché cessi la violazione di diritti umani, nel mondo Arabo resta una forte contrapposizione tra chi ritiene necessario “armare” i ribelli e chi invece non condivide la scelta di un intervento militare. Cina e Russia, membri del consiglio di sicurezza dell’ONU, si schierano in difesa del regime di Assad, ponendo il veto per bloccare tanto le sanzioni economiche che l’ONU aveva intenzione di comminare al governo siriano, quanto la possibile decisione di un intervento militare dei caschi blu; la Lega Araba, storicamente inincidente, cerca nel nome di Kofi Annan un mediatore condiviso da tutti per una soluzione diplomatica. Nel frattempo il governo di Assad proclama un referendum per modificare la costituzione in senso democratico, ma dato il contesto di sangue e di repressione, le opposizioni invitano il popolo a boicottarlo. E’ notizia recente che le votazioni si sono svolte “sotto le bombe”.
E’ sotto gli occhi di tutti l’urgenza di un intervento umanitario internazionale che, seppur già organizzato, fa fatica a realizzarsi per la diffidenza del governo siriano.
Nonostante un contesto così complesso e violento continuiamo a ritenere che la pace sia un valore non negoziabile: un intervento militare così come prospettato da alcuni Paesi è inaccettabile, qualunque siano le ragioni dell’intervento; ce lo dimostrano la storia recente dell’Afganistan, dell’Iraq e della Libia, nella quale sanguinosi interventi militari hanno portato ad un contesto di disordini ancora più instabile dei precedenti regimi, con gli estremismi religiosi rafforzati nella prospettiva di acquisizione del potere e le minoranze non tutelate ed oggetto continuo di violenze. Tutt’altro che libertà.
Occorre che le forze internazionali di mediazione pongano in essere un reale e deciso intervento diplomatico, unico mezzo di risoluzione vera e duratura del conflitto.
E’ infatti necessario che il governo di Assad e le forze armate di opposizione dichiarino immediatamente il “cessate il fuoco” e diano fine alle violenze; solo allora, infatti, sussisteranno le condizioni perché il futuro della Siria venga posto realmente nelle mani del popolo siriano.
Fonte: Cattolici Popolari Abruzzo (cattolicipopolariabruzzo@gmail.com)