Vita!

Dopo aver scoperto che la morte ha una dignità perché non provare a riconoscere che la sofferenza ha un valore?
Leggo di eutanasie che, dopo grandi battaglie contro la malattia, divengono l’accettazione del fatto che la morte è inevitabile, che l’uomo non è onnipotente, ma che può decidere di “finire” serenamente. “Perché la legge italiana non permette questa possibilità?” termina l’articolo.
Eppure c’è qualcosa che è fatto fuori: l’esperienza del limite vissuto, attraversato e offerto. Con un’ultima umiltà che accetta non solo la morte, ma il dolore e, dentro quel dolore, la speranza di un significato.
Vedo mia nonna – 89 anni – che dà un bacio al marito nel giorno del suo 95esimo compleanno. Vedo come guarda il suo amore di un tempo, aitante bersagliere conosciuto sulla spiaggia in tempo di guerra. È l’ombra di se stesso, è un corpo martoriato, eppure c’è per lei, per i figli, nipoti e bisnipoti, e nessuno potrebbe dire che sarebbe meglio il contrario.
Soffrire con gli altri e per gli altri è la vera frontiera, la vera sfida dell’uomo grande, dell’uomo “intero”. La dignità, lo splendore, la santità.
Anche per questo viene il Bambino del presepe, con il Suo destino di morte e resurrezione.

Sirenetta